Io viaggio da sola
Il viaggio in solitaria come strumento di crescita, in particolare per le donne.
Prima di partire in quarta con le polemiche, permettetemi di fare una premessa: sono consapevole che «viaggiare» così come lo intendiamo alle nostre latitudini è un privilegio. Soprattutto perché sono una donna bianca, eterosessuale, cisgender, di famiglia della classe media a cui non è mai mancato nulla di importante sul piano materiale. Non solo: ho anche avuto la fortuna di poter andare all’estero a studiare lingue d’estate, durante gli anni delle superiori. Tuttavia, il «viaggiare» così come lo intendo in questo articolo, non si limita al viaggio di piacere o di natura culturale. Ci sono mille modi di viaggiare: anche andare a fare la cameriera a Londra o la ragazza alla pari in Francia è viaggiare (sempre ai fini di questo articolo).
Il mio CV di viaggiatrice
Come dicevo, la mia esperienza parte da una serie di privilegi. Ho iniziato a viaggiare, se così possiamo dire, fin da piccola (credo avessi otto anni la prima volta) quando, d’estate, i miei genitori mi mandavano in colonia per un paio di settimane. Le loro motivazioni erano di natura pratica perché, lavorando entrambi, era difficile gestirmi per due mesi e mezzo durante le ferie scolastiche. Dopo alcune esperienze di colonia sono iniziati i viaggi-studio per l’approfondimento linguistico (il primo a 15 anni, quando andai in Scozia due settimane per l’inglese). A tutto questo si sono affiancati altri viaggi, soprattutto in compagnia di papà. Per citarne uno, nell’estate del 1993 andammo a Londra in macchina. Tutto questo fa parte di una lunga esperienza che è culminata in un viaggio in moto, in solitaria, dalla Svizzera al Giappone nel 2014. Detta così, sembra tutta rose e fiori.
Gli ostacoli
Tralasciando gli ostacoli di natura finanziaria e pratica che chiunque voglia affrontare un viaggio di qualsiasi tipo si trova a dover superare, vorrei concentrarmi su problematiche più tipicamente femminili legate alla disparità di trattamento tra maschi e femmine nonché alla cultura in cui viviamo – che sono poi lo scopo del presente scritto.
All’università scelsi di studiare, insieme a inglese e tedesco, anche lingua giapponese (era una materia facoltativa, in realtà). Ma per ragioni pratiche ed economiche, finiti gli studi non ebbi mai la possibilità di portare a termine il percorso di studio dell’idioma nipponico con un periodo di approfondimento in Giappone. Tuttavia, dopo aver avviato con un certo successo (e non senza sacrifici) la mia attività di libera professionista, verso la fine del 2010 iniziai a organizzare un soggiorno di tre mesi in Giappone appunto con l’idea di chiudere il percorso in modo degno. Ricordo ancora la reazione del mio ex storico, con il quale a quel tempo stavamo insieme da ca. nove anni: mi fece capire, senza troppi mezzi termini, che non era sicuro sarebbe riuscito ad «aspettarmi» così a lungo. In pratica, dopo nove anni di relazione, mi stava dicendo che non poteva stare tre mesi senza fare sesso (perché questo era – non è la sede per entrare nei dettagli, credetemi sulla fiducia). Poi, alla fine, io non partii, ma soltanto perché giusto poche settimane prima della data fissata scoppiò la tragedia di Fukushima e non c’erano sufficienti garanzie per la mia salute. Ancora oggi, ogni tanto, mi chiedo come sarebbe andata se fossi partita. Non lo saprò mai, ma quello che so è che di lì a pochi mesi ci lasciammo (ossia, io lasciai lui).
Altro esempio: poco prima di partire per il mio viaggio in Giappone conobbi un uomo. Ci frequentammo qualche settimana e fin dall’inizio io gli dissi che il primo giugno di quello stesso anno sarei partita per il mio viaggio in moto, indipendentemente da come sarebbero andate le cose tra noi. Erano mesi che preparavo questo viaggio e non avrei permesso a niente e nessuno di mettersi in mezzo. In tutto ci siamo frequentati per due mesi (che alla veneranda età di 34 anni non sono poi tanti) eppure lui, poco prima che partissi, ha lasciato intendere che avrebbe preferito che non lo facessi. Al punto che non è venuto a salutarmi il giorno della partenza. Ovviamente, io partii e la nostra relazione finì in quel momento.
E ancora: la famiglia. Questo è l’episodio che più mi viene difficile raccontare e rendere pubblico perché mi tocca molto, molto da vicino. Come detto alcune righe sopra, mio padre è una delle persone della mia vita responsabili del mio essere viaggiatrice. Eppure, anche con lui ci fu uno scontro molto intenso quando gli comunicai che avevo intenzione di andare in Giappone in moto, da sola. Per fortuna la differenza di vedute si è appianata e le cose sono rientrate nella normalità.
Un ultimo dettaglio: fin da quando sono rientrata in Svizzera dopo il mio soggiorno in Giappone e ancora oggi, che manca poco al decimo anniversario della mia partenza, quando dico che «sono andata in moto dalla Svizzera al Giappone» la maggior parte delle reazioni è compresa tra «ma dici sul serio?» a «non è possibile, non ci credo!». In passato, ho frequentato per alcuni anni il mondo dei motoviaggiatori (come è naturale, credo) e vi posso garantire che mai, in nessuna occasione, ho assistito a una scena identica se era un motoviaggiatore uomo a fare un’affermazione simile. E vi posso garantire che di viaggi in moto ben più stravaganti e pericolosi del mio ne sono stati fatti – e tanti!
Di esempi del genere nei avrei (molti) altri da raccontare ma non è lo scopo di questo articolo. L’obiettivo di questo scritto è far riflettere e far capire fin dove arriva la cultura maschilista, convinta di poter controllare tutto e tutti – soprattutto le donne e il loro corpo.
Le riflessioni
Esiste una disparità di trattamento tra maschi e femmine, uomini e donne. Spesso, quando una cosa la fa un uomo è un «eroe», un «avventuriero» e via dicendo. Se la fa una donna, come minimo è un’egoista, una «stramba» o cose del genere. So che non dico niente di nuovo, ma sento il bisogno me di esprimere questi discorsi nero su bianco. Abbiate pazienza.
Penso quindi che dobbiamo imparare a convivere con tale disparità, sia se decidiamo di combattere per cambiarla sia se preferiamo restare indifferenti o fare una qualsiasi altra scelta nel mezzo. La cosa fondamentale è esserne consapevoli e agire, sempre e comunque, a partire da noi stesse cercando di lasciarci influenzare il meno possibile da fattori esterni. Non è facile, ci vogliono anni di auto-riflessione, lavoro su sé stesse e impegno. Tuttavia, è possibile, io ne sono la prova: non sono una mosca bianca né un’eroina moderna.
Non ho figli e non mi occupo di sociologia, psicologia né di altra materia specifica quindi non ho gli strumenti per affrontare la tematica che in queste settimane è tornata tristemente alla ribalta, ossia quali potrebbero essere le possibili soluzioni per arginare il problema della violenza sulle donne e cambiare davvero le cose. Sono anche d’accordo con chi sostiene che servono più educazione emotiva, metodi educativi nuovi per futuri uomini nuovi, più finanziamenti e in generale più attenzione al problema. Il mio punto di vista personale, forse proprio perché ho scelto di non avere figli, è la convinzione che ogni persona possa davvero influire e controllare solo una cosa: sé stessa. Ma il mio contributo può e deve limitarsi solo a ciò che conosco, ossia la libera professione e il viaggio in solitaria. La libera professione come strumento di emancipazione è un tema che mi terrà occupata a partire dal 2024, e spero in modo molto intenso – ma non è questa la sede per parlarne. Mentre questa è la sede ideale per parlare del viaggio in solitaria, soprattutto per le donne (e a tutti gli altri: non smettete di leggere perché quanto segue serve anche a voi in prima persona e alle eventuali sorella, mamma, figlia, amica o altra donna a cui queste parole possono interessare).
Perché viaggiare da sole
Viaggiare da sole allena l’istinto, ci insegna a capire subito chi ci troviamo davanti, rafforza la fiducia in noi stesse e la nostra consapevolezza. Ci insegna a stare da sole. Ancora, in modo semplice e a volte brutale, ci fa capire chi sono le persone che davvero tengono a noi e quelle che, invece, pensano di poterci controllare. Ma non è tutto: viaggiare da sole ci insegna a fare affidamento solo su noi stesse e anche le esperienze spiacevoli (anni fa fui rapinata a Barcellona, per fortuna senza conseguenze gravi a parte la perdita di soldi, cellulare e l’orgoglio ferito) ci insegnano a essere più stabili, a stare più attente quando serve senza cadere preda dell’ansia e del condizionamento esterno.
Viaggiare da sole è anche un modo per auto-definirci, per dire al mondo che siamo donne libere, per dimostrare a noi stesse che possiamo farcela anche se abbiamo paura. Perché avere paura è normale. Ciò che non è sano è permettere alla paura di prendere il sopravvento e controllare le nostre vite – e il viaggio in solitaria allena proprio questo aspetto, ossia fare le cose malgrado la paura e scegliere quando invece la paura è «sana» e va ascoltata perché ci serve da protezione. Infatti, dovremmo imparare ad amare la paura e anche la solitudine. Entrambe sono maestre severe, certo, ma molto generose che ci permettono – attraverso l’introspezione – di aumentare la consapevolezza. E la consapevolezza è sinonimo di libertà. La paura ci insegna i nostri limiti e, una volta che li abbiamo ben chiari, possiamo scegliere se tenerceli o superarli. La vita è nostra e nostra soltanto. E ne abbiamo una sola.
Dobbiamo smetterla di permettere al mondo di dirci di cosa dobbiamo avere paura. È tempo di andare là fuori e scoprirlo da sole.
Libri da leggere
In questa occasione desidero condividere con voi un libro che trovo illuminante. Si intitola «Come diventare bella, ricca e stronza» di Giulio Cesare Giacobbe. E no, non è un libro anti-uomini che insegna alle donne come accaparrarsi il partito più interessante a disposizione. È un libro che, in chiave molto ironica (a partire dal titolo), insegna alle donne come crescere e diventare adulte per davvero, perché solo così possiamo scegliere a partire da noi stesse.
Qui per il formato cartaceo (usato)
Grazie per aver letto fin qui e buona strada!
Aggiungerei che oltre a superare ostacoli, viaggiando ti si apre proprio un mondo che ti toglie dalla "normalità" delle solite 4 mura. Io, dopo 6 anni chiusa in casa per assistere prima mia mamma poi mio padre, sto scoprendo le bellezze d'Italia di cui nessuno, né la famiglia né la scuola, mi aveva mai trasmesso interesse 🤔
Adoro viaggiare da sola e condivido totalmente ciò che hai scritto. Nel corso degli anni però mi sono resa conto che viaggiare da sola era diventata una fuga dall'affrontare situazioni o persone. Allora poi ho cominciato un viaggio interiore e che tutt'ora sto facendo❤️. Grazie ❤️❤️