Shantaram – un viaggio dentro sé stessi
Shantaram è un romanzo di Gregory David Roberts, e significa «uomo della pace di Dio». Non è un libro di viaggio, ma di sicuro leggerlo ti costringe a fare un viaggio dentro te stesso.
Shantaram è il titolo di un romanzo di oltre mille pagine scritto da Gregory David Roberts, e significa «uomo della pace di Dio». Non è un libro di viaggio, ma di sicuro leggerlo ti costringe a fare un viaggio: dentro te stesso e dentro alcuni temi veramente importanti.
La storia è densa, mai banale, di quelle che ti entrano nelle ossa e non ne hai mai abbastanza. Malgrado le oltre mille pagine, quando finisce ti dispiace separarti dai personaggi che ti hanno tenuto compagnia e insegnato così tanto. I temi che tratta, in modo più o meno profondo, sono molti ma personalmente penso che, più di tutti, questo sia un libro sul perdono.
«Un giorno Karla mi aveva chiesto: “Che cosa caratterizza maggiormente la razza umana? La crudeltà o la capacità di provarne vergogna?” Sul momento mi era sembrata una domanda molto acuta, ma ora che sono più saggio e solitario so che né la crudeltà né la vergogna caratterizza la razza umana. È il perdono che ci rende unici. Senza il perdono la nostra specie si sarebbe distrutta in una serie di faide senza fine. Senza perdono non esisterebbe la storia. Senza la speranza del perdono non ci sarebbe l’arte, perché l’arte è in qualche modo un gesto di perdono. Senza il sogno di un perdono non ci sarebbe amore, perché ogni atto d’amore è in qualche modo una promessa di perdono. Viviamo perché possiamo amare, e amiamo perché sappiamo perdonare.»
Il protagonista del libro, che pur non essendo una biografia pesca a piene mani dalla storia vera dell’autore, è un uomo che in gioventù ha sbagliato e, da allora, non ha mai smesso di pagarne il prezzo. Era un giovane studente di filosofia, politicamente impegnato nei gruppi studenteschi australiani dei primi Anni ’80. Poi il matrimonio fallito e l’allontanamento dalla figlia piccola lo hanno portato sulla cattiva strada dell’eroina e delle rapine a mano armata. Dopo un colpo andato male (il suo complice spara a un poliziotto, uccidendolo) viene catturato perché si rifiuta di abbandonare il poliziotto morente sul ciglio della strada. Viene condannato a una ventina d’anni di prigione e picchiato duramente affinché rivelasse il nome del complice – cosa che non fece mai. Per salvarsi la vita, è costretto a scappare di prigione e dopo un paio d’anni in fuga approda in India, nella Bombay di metà Anni ’80 – dove la mafia la fa da padrona e Charas ed eroina scorrono a fiumi.
È in questo contesto che il nostro protagonista inizia un viaggio di rinascita, di ricerca di sé stesso ma – soprattutto – di ricerca del perdono. È qui che viene ribattezzato con il soprannome di «Shantaram» in un villaggio sperduto sulle montagne a «un treno e due bus» di distanza da Bombay. Il suo grande istinto di aiutare gli altri (se avesse continuato gli studi, sarebbe diventato paramedico) lo mette sempre in conflitto con sé stesso: fare la cosa giusta e pagarne il prezzo o salvarsi? Degli otto anni che trascorre in India, i primi due li spende vivendo in uno slum e gestendo un’infermeria improvvisata per aiutare le persone che ci vivono. Poi verrà catturato dalla polizia indiana e passerà quattro mesi un una delle prigioni più terribili della zona. Quando i suoi amici pagano per la sua liberazione, il suo debito morale verso il boss che ha finanziato la sua liberazione lo porterà a vivere da criminale gestendo il racket dei passaporti falsi, dell’oro e di altre merci per conto del boss – un uomo colto, molto carismatico di origine afgana con cui intratterrà anche discussioni filosofiche molto profonde sul senso del bene e del male.
L’autore spende anche molte parole per condividere con noi il suo percorso di crescita spirituale:
«Esiste una verità più profonda dell’esperienza, che sta al di là di ciò che vediamo, persino di ciò che sentiamo. È una categoria di verità che separa ciò che è profondo da ciò che è soltanto razionale: la realtà della percezione. Di solito questa categoria di verità ci fa sentire inermi, e capita che il prezzo da pagare per conoscerla, come il prezzo da pagare per conoscere l’amore, sia più alto di ciò che i nostro cuori sono in grado di tollerare. Non sempre la verità ci aiuta ad amare il mondo, ma senza dubbio ci impedisce di odiarlo.»
Un altro punto centrale del libro è la libertà. Ovviamente, avendo vissuto la totale privazione della libertà in galera (tra l’altro, quando viene ricatturato e rimpatriato in Australia per scontare ciò che resta della sua pena, passerà due anni in isolamento – ed è in questo momento che inizia a scrivere il libro), Roberts ha un punto di vista tristemente e dolorosamente privilegiato per parlare di libertà (e, di nuovo, di perdono):
«Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell'amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l'essenziale, però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli.»
Come dicevo, sono molti i temi che tocca il libro e ovviamente non può mancare un giudizio piuttosto tranchant del sistema carcerario e dei suoi limiti nel «rieducare» le persone che restano intrappolate nelle sue maglie. Qui due delle mie citazioni preferite:
“Vidi le sbarre d’acciaio della porta che si chiudevano, e sentii una stretta gelida al cuore. Rumore di metallo contro metallo, la chiave chi girava nella serratura. Guardai gli occhi degli uomini attorno a me: inespressivi o eccitati, risentiti, impauriti. Sentii un tamburo che batteva nelle profondità del mio essere. Forse era il cuore. Sentii il mio corpo, tutto il corpo, teso e serrato come un pugno. Sentii un gusto aspro, come se avessi dietro la lingua un boccone spesso e amaro. Mi sforzai d’inghiottirlo, poi ricordai. Era il gusto dell’odio, il mio odio, quello dei prigionieri, delle guardie, del mondo intero. Le prigioni sono le riserve di caccia del demonio. Ogni volta che giriamo la chiave di una cella rigiriamo il coltello del fato nella piaga di un uomo, perché ogni volta che chiudiamo qualcuno in carcere lo imprigioniamo nell’odio.”
La libertà, quindi, che deriva dal perdono – in primis dal perdono che concediamo a noi stessi. Questa, credo, è la grande lezione di questo libro: dovremmo tutti imparare a perdonare e perdonarci di più per farci il dono della Libertà.
Risorse
Link a un video in cui Roberts parla del periodo di isolamento in prigione e di come ha aiutato gli altri detenuti con la meditazione, riducendo a zero i tentativi di suicidio, gli atti di lesionismo e le aggressioni alle guardie carcerarie (in inglese): Peace One Day.
Qui invece un link a un documentario sul libro, con riprese dei luoghi in cui Roberts ha realmente vissuto, sottotitolato in italiano: Documentario.
Citazione sull’India di Tiziano Terzani, tratta dal libro «Un altro giro di giostra»:
Chi ama l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l’amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato. L’India, a meno di odiarla al primo impatto, induce presto a questa esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai completamente separati dal resto. E qui sta il suo fascino.
L’India è un Paese che non ho ancora visitato e devo ammettere che esercita un fascino strano sulla mia fantasia, attirandomi e respingendomi al tempo stesso. Non so ancora se riuscirò a visitarla, ma sicuramente desidero approfondire la mia conoscenza di questo Paese che, da solo, è un continente.
Eccoti alcuni link informativi di blog di viaggio:
Blog di viaggi con foto professionali
Articolo critico (e realistico) sul perché l'India non è adatta a tutti
Grazie per aver letto fin qui!
Buona strada.