Tè o chai?
La prossima volta che berrete del tè in compagnia potrete raccontare questa storia: un viaggio alla scoperta della nascita di due parole che dicono la stessa cosa.
Sono un’appassionata di tè. E prima che continuiate a leggere devo fare una confessione: non mi piace il caffè. Non so perché, nel senso che non c’è un motivo razionale a questa mia preferenza – semplicemente, è così. Di conseguenza, ho bevuto tè in pressoché ogni Paese che ho visitato: Giappone (ovviamente!), Turchia, Russia e molti altri.
A proposito di Russia: nel mio viaggio del 2014 ho percorso alcuni tratti a bordo della Transiberiana e una delle primissime cose che mi ha stupito è stato trovare un samovar a bordo del treno. Per chi non lo sapesse, il samovar è «un contenitore metallico tradizionalmente usato in Russia e in altri Paesi slavi, in Iran, nel Kashmir e in Turchia per scaldare l’acqua. Poiché l’acqua calda è normalmente usata per la preparazione del tè, molti samovar presentano nella parte alta un alloggiamento atto a sostenere e scaldare una teiera di tè concentrato.” (Qui l’articolo completo di Wikipedia da cui ho preso questa descrizione).
Ecco il modernissimo samovar a disposizione a bordo della Transiberiana, pieno di acqua calda liberamente accessibile.
Qui invece la tazza messa a disposizione in seconda classe.
Ma torniamo al tema centrale di questa newsletter: in effetti, tranne che in rare eccezioni, esistono solo due parole al mondo per indicare la bevanda che noi chiamiamo «tè». Una è appunto quella italiana, simile all’inglese «tea» e all’afrikaans «tee». L’altra è una variazione del cinese «cha», come «chay» in Hindi e «чай» (chai) in russo.
Entrambe le versioni derivano dalla Cina ma il modo in cui questi due termini si sono diffusi nel mondo offre una chiara immagine di come la globalizzazione funzionasse ancora prima che il termine «globalizzazione» venisse inventato. Le parole con il suono simile a “cha” si sono diffuse via terra, lungo la Via della Seta. Mentre le parole simili all’italiano «tè» si sono diffuse via acqua, grazie ai commercianti olandesi che importarono questa bevanda di foglie in Europa.
Il termine cha (茶) è «sinico» ossia è comune a molte varianti della lingua cinese. Questo termine è nato in Cina e ha attraversato tutta l’Asia, diventando a un certo punto «chay» (چای) in persiano. Questa trasformazione è dovuta senza ombra di dubbio alle rotte commerciali della Via della Seta lungo le quali, secondo una recente scoperta (questo il link all’articolo del The Guardian, in inglese), il tè veniva commercializzato già più di 2000 anni fa. Questa forma si è poi diffusa oltre la Persia, diventando «chay» in urdu, «shay» in arabo e «chay» in russo, giusto per citare alcuni esempi. In questa variante è addirittura arrivato nell’Africa subsahariana, dove è diventato «chai» in swahili. Anche i termini nelle lingue giapponese e coreano derivano dal cinese «cha», tuttavia queste lingue hanno probabilmente adottato la parola ben prima che si diffondesse verso ovest al persiano.
Ma questo non spiega la storia del termine «tè». Prima di continuare, devo fare una brevissima premessa sulla lingua cinese (valida anche per il giapponese). I «caratteri» che compongono queste lingue, più correttamente chiamati «ideogrammi», possono di solito essere pronunciati in più di un modo. Le varie pronunce dipendono da regionalismi così come da una serie di regole proprie di ciascuna lingua.
Di conseguenza, il carattere cinese per la bevanda «茶» si scrive sempre nello stesso identico modo ma si pronuncia in modo diverso a seconda della variante di cinese. Nel mandarino moderno, per esempio, si pronuncia «chá». Nella variante di cinese chiamata Min Nan, parlata nella provincia costiera del Fujian, il carattere si pronuncia «te»: qui, la parola chiave è «costiera».
La forma «te» usata nelle lingue lungo la costa cinese si è diffusa in Europa grazie agli olandesi, i quali nel XVII secolo divennero i principali commercianti di tè tra Europa e Asia (come spiegato dal World Atlas of Language Structures). I principali porti olandesi dell’Asia orientale erano situati nella regione del Fujian e a Taiwan, entrambi luoghi in cui la bevanda era pronunciata «te». La vasta importazione di tè della Compagnia olandese delle Indie orientali ci ha così donato il francese «thé», il tedesco «Tee» e l’inglese «tea».
Tuttavia, gli olandesi non furono i primi ad arrivare in Asia. Questo primato spetta ai portoghesi, i quali battezzarono Taiwan con un nome tipico dell’epoca coloniale europea: Formosa. Inoltre, i portoghesi non commerciavano attraverso il Fujian bensì attraverso Macao, dove il tè è pronunciato «chá». Ecco spiegato perché, nella mappa sopra, il Portogallo è un puntino rosa in un mare di puntini blu.
Sono poche le lingue che hanno una parola propria per parlare di tè. Queste lingue si trovano generalmente in luoghi dove il tè cresce naturalmente così che gli abitanti hanno avuto la necessità di sviluppare un proprio termine per chiamare questa pianta. In birmano, per esempio, le foglie di tè sono chiamate «lakphak».
La mappa dimostra l’azione di due ere diverse di globalizzazione:
La millenaria diffusione via terra di merci e idee verso Ovest, dalla Cina antica
I 400 anni di influenza della cultura asiatica sui marinai europei nell’era delle conquiste e delle esplorazioni
Ma non è tutto: ora avete anche imparato una parola nuova in pressoché tutte le lingue del mondo.
Il mio scritto è stato tradotto e adattato liberamente da questo articolo.
Da leggere, vedere, sentire
Ecco alcuni consigli di lettura riguardo il tè:
Bere il tè per coltivare e prolungare la vita
L’arte e il piacere di bere il tè
Business structural coach
Come anticipato nel primo articolo pubblicato su questa piattaforma, con il tempo introdurrò un paio di altri temi che mi stanno a cuore. Oggi vorrei iniziare con il concetto di «struttura». La struttura è quella cosa che, nel viaggio della nostra vita, ci dà forza e ci permette di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Questo vale per tutti, ma soprattutto per i freelance perché, spessissimo, non è l’incapacità o la mancanza di talento a farci fallire nel viaggio della libera professione, bensì – appunto – la mancanza di una struttura adeguata. Quando io uso questo termine mi riferisco alle due colonne portanti necessarie per far funzionare (quasi) qualsiasi aspetto della nostra vita: gestione del tempo e gestione del denaro. Inoltre, oggi come non mai, abbiamo bisogno di strutture solide per superare i tempi incerti che ci troviamo ad affrontare.
Ma prima di approfondire questo tema vorrei chiederti una cosa (e approfittarne per testare la funzione di sondaggio di Substack :-)
Grazie per aver letto fin qui e, come sempre,
Buona strada!
Non ne sapevo nulla, grazie, sapere cose nuove è sempre stimolante, anche se non bevo più il tè o chà che mio padre portava dall'India