Un viaggio oggi è un’emozione domani.
Ricordi di viaggio: cosa ci resta di un viaggio concluso? E quanto a lungo un viaggio influisce sul nostro presente e ci regala emozioni?
In occasione di un compleanno tondo e per me importante, nel 2020 mi regalai un viaggio alle Hawaii. Oltre a paesaggi magnifici, onde del mare e culture nuove e lontane, in quel viaggio incontrai una ragazza di Sondrio (che qui chiamerò Anna, anche se questo non è il suo nome). Ebbene sì, ho viaggiato quasi letteralmente fino dall’altra parte del mondo per conoscere qualcuno nato e cresciuto a una manciata di chilometri da casa mia.
Pochi giorni dopo il mio arrivo (mi ci vollero un paio di giorni per riprendermi dalle 48 ore di viaggio necessarie ad arrivare) feci una cosa che non mi appartiene più tanto: prenotai una gita turistica a bordo di un pulmino, con tanto di guida locale (che parlava un pidgin1 pressoché incomprensibile), che ci avrebbe scarrozzati in giro per l’isola per un’intera giornata. Il programma prometteva anche un pranzo a base di gamberi e con questa informazione il bel ragazzo, che di fronte all’agenzia tallonava i turisti di passaggio, mi convinse a comprare un biglietto. Inoltre, questa gita mi avrebbe permesso di fare il giro dell’intera isola di Ohau così farmi un’idea di cosa avrei poi magari potuto approfondire e rivedere con calma.
In questa occasione conobbi Anna: abbiamo trascorso la giornata insieme chiacchierando e prima di separarci ci siamo scambiate i numeri di telefono. Non ricordo molto delle nostre conversazioni ma ricordo la sensazione di familiarità, quasi amicizia, che si è subito instaurata tra noi. Mi capita spesso di avere questo tipo di incontri: sono quegli incontri che chiamo «incontri di viaggio», più intensi e sinceri di tanti che faccio quando sono a casa. Mi capita spesso di riflettere su questo aspetto del viaggio. Con le persone che incontro in viaggio si instaura subito un rapporto profondo e aperto – forse la consapevolezza di non rivedersi mai più ci permette di mettere da parte maschere e meccanismi di difesa e di mostrarci per quello che siamo. Oppure è l’affinità nell’animo di viaggiatori che ci fa capire subito, senza bisogno di spiegarsi con tanti giri di parole. Non lo so, non ho ancora trovato una risposta soddisfacente a questa domanda.
E tu, hai avuto esperienze simili o magari completamente diverse? Come vanno a finire i tuoi «incontri di viaggio»?
Fatto sta che, prima di separarci, io e Anna ci siamo scambiate i numeri di telefono e, da allora, ogni tanto ci scambiamo un messaggio WhatsApp per aggiornarci sui nostri rispettivi progetti e novità – lei dalla Nuova Zelanda dove ormai vive stabilmente, io dalla Svizzera.
Proprio in questo periodo, Anna si è concessa una lunga vacanza dalla sua vita neozelandese e sta trascorrendo alcune settimane in Italia e in giro per l’Europa. E, qualche giorno fa, dopo non poche difficoltà dovute ai vari impegni di entrambe, siamo riuscite a combinare un incontro. Anna ha aggiunto una tappa al suo viaggio verso la Francia per fermarsi a bere un caffè in mia compagnia: per quanto mi riguarda, è stato un bellissimo regalo.
Per me è sempre un’emozione incontrare di nuovo persone che ho conosciuto in giro per il mondo. Anna viaggiava insieme al compagno neozelandese e a un amico italiano e abbiamo trascorso il tempo a parlare delle differenze tra Europa e Nuova Zelanda, del fatto che probabilmente i neozelandesi sono riusciti meglio nel lavoro di integrazione con i Maori, la popolazione nativa della Nuova Zelanda, rispetto a quello che hanno fatto gli australiani con gli aborigeni. Abbiamo parlato del Simpson Desert, il deserto che occupa il centro dell’Australia, e di una famosa esploratrice italiana che lo ha attraversato a piedi (ne parlerò nel prossimo numero di Parole on the road).
Ed è così che davanti a un buon caffè abbiamo mescolato culture, idiomi e pensieri – siamo stati insieme circa un’ora ma è sembrato molto di più.
Prima di separarci Anna mi ha consegnato il souvenir che mi ha portato dalla Nuova Zelanda: un portachiavi a forma di koala e una saponetta di miele di Manuka, molto famoso e pregiato alle nostre latitudini.
Questo mi ha fatto ripensare a quando, tornando dalle Hawaii, portai con me un paio di vasetti di miele del luogo (uso ancora un vasetto vuoto come porta-penne sulla scrivania). Poi mi sono ricordata che, dal trasloco di luglio, non avevo ancora trovato un posto alla mia collezione di oggetti-ricordo.
È una modesta collezione di oggetti senza valore reale ma con un enorme valore affettivo per me: probabilmente è l’oggetto più prezioso che possiedo. Una semplice bustina in plastica a zip (che sta diventando decisamente troppo piccola) in cui conservo piccoli oggetti ricevuti in dono in occasione dei miei viaggi.
Ne ho approfittato per un breve giro sul viale dei ricordi e, tra gli altri, mi sono capitati in mano il cuore chiama Angeli in argento, regalatomi da una coppia di carissimi amici prima della mia partenza per il mio viaggio in Giappone che emette un delicato tintinnio a ogni movimento. Poi ho ritrovato un dado in legno regalatomi in Siberia con le facce recanti scritte in russo e una tipica bambolina coreana da appendere regalatami da un ragazzo incontrato sul traghetto Vladivostok-Sakaiminato. E ora aggiungo il portachiavi a forma di Koala e la saponetta di miele di Manuka neozelandese: sì, ho decisamente bisogno di un contenitore più grande.
Prima di salutarci definitivamente e prima che Anna e i suoi compagni di viaggio si rimettessero in strada sono stata invitata a raggiungerli in Nuova Zelanda alla prossima occasione – e chi sono io per dire no? :-)
Alla fine:
Nella prossima edizione di Parole on the Road:
Di deserti e del segreto della felicità dei Boscimani
Grazie per aver letto fin qui e buona strada!
«Alle Hawaii, accanto all’inglese, c’è una seconda lingua nazionale: il pidgin hawaiano. Il pidgin, di per sé, è un idioma «di servizio», risultante dalla mescolanza di lingue di persone di origini differenti, che se ne servono per comunicare in maniera più o meno rudimentale. Nell’arcipelago del Pacifico, però, gli immigrati cinesi, giapponesi, filippini e coreani che si sono trovati a lavorare nelle piantagioni col passare degli anni hanno creato uno strano ibrido linguistico: il pidgin hawaiano, passato da forma di comunicazione semplice a sistema linguistico propriamente detto, un creolo che i nuovi nati iniziavano a parlare, e si andava quindi sviluppando di generazione in generazione.»
Questo è l’articolo da cui ho estrapolato il breve estratto.
Ciao Marta, le amicizie di viaggio sono davvero degli incontri unici. Durano un soffio, ma in quel soffio lì c’è tanta verità. Anche quando si dimenticano nomi, conversazioni e volti, una briciola di quell’incontro rimane. Forse perché si è veramente se stessi. Grazie per il post😊