VdL #3: Tutto il mio folle amore (di Francesco Carofiglio)
Un libro sull'amore e sull'antifascismo nella Valigia dei Libri di Parole on the Road
Ci sono libri che non si leggono: si abitano.
Entrano nella nostra vita in punta di piedi, come una luce sottile che filtra tra le tende al mattino. Non fanno rumore, ma ci lasciano un dono importante: guardare ciò che abbiamo da un’altra angolazione. Tutto il mio folle amore, di Francesco Carofiglio, per me è stato questo: un viaggio inatteso. Una porta che si apre su un mondo che è prima di tutto interiore.
Lo apro e ritrovo subito il mare.
Non quello da cartolina: un mare che somiglia ai pensieri che non sappiamo nominare, una distesa in cui ci si perde per ritrovarsi. Carofiglio usa parole che sembrano respirare. Frasi brevi, essenziali, che scivolano come onde leggere. C’è un nonno, c’è un nipote, c’è un mondo che li divide e un viaggio che prova a cucire ciò che si era strappato.
Ma a colpirmi non è stata la trama.
È stato il modo in cui questo romanzo parla della fragilità: non come difetto, ma come forma di coraggio. Mi sono ritrovata a pensare a tutte le volte in cui, nel mettermi in cammino – fisicamente o emotivamente – ho scoperto che il viaggio non chiede forza, ma disponibilità. Presenza. Una resa dolce, quasi impercettibile, a ciò che possiamo imparare dall’altro, dalle esperienze che facciamo.
E poi c’è l’amore.
Non quello addomesticato, lineare, rassicurante. Quello giovane, che inciampa, che sbaglia strada, che fa rumore nelle stanze interne. Quello che non si dice bene, ma che si sente forte. Un amore «folle», sì, ma solo perché autentico: senza filtri, senza geometrie perfette.
Soprattutto, però, questo è un libro antifascista.
Nella Bari ferita del 1943, dove ogni gesto pesa, c’è un richiamo che attraversa le pagine e arriva fino a noi: di questi tempi abbiamo bisogno di ricordare il costo delle lotte del passato. Il prezzo in vite umane che abbiamo pagato per quella libertà, che oggi respiriamo quasi senza accorgercene. Perché non dobbiamo dimenticare. Perché dobbiamo fare in modo che non si ripeta. Perché non dobbiamo smettere di essere persone, prima di tutto, e di considerare gli altri come persone, sopra ogni cosa e prima di qualsiasi altro aggettivo ci venga in mente.
Questa la mia citazione preferita, in assoluto:
Un giorno Semeraro aveva detto che uno dei rimedi contro l’infelicità era l’accuratezza, il prendersi cura delle cose, dei pensieri, con precisione, gli aveva raccontato che gli artisti, spesso, sono infelici, e per creare hanno bisogno di guardarla tutta, questa infelicità, di chiudersi in una stanza, con un piatto di mele, un rotolo di carta, una penna, una macchina per scrivere, un pianoforte. Bisognava prendersi cura di quel sentimento storto.
Leggendo Carofiglio ho pensato che forse ogni relazione sia un viaggio che non sappiamo fare davvero, almeno all’inizio. Bisogna perdersi un po’, prendere strade sbagliate, sedersi sul ciglio di un pensiero e riconoscere che siamo vulnerabili. È lì che accade la magia: quando smettiamo di cercare una direzione e iniziamo a vivere il cammino.
Questo romanzo, nella mia valigia, ha preso il posto dei libri-bussola: quelli che non ti dicono dove andare, ma ti ricordano come vuoi percorrere la tua strada.
E l’ho chiusa con un gesto lieve, come si fa quando si custodisce qualcosa di prezioso.
Perché alcune storie non finiscono all’ultima pagina: continuano a camminare con noi, silenziose e luminose, finché non trovano un nuovo modo di farci crescere.
Se desideri un approfondimento a questo link trovi l’articolo dedicato al libro su Libreriamo.it.
Se preferisci, puoi anche ascoltare questo pezzo letto con la mia voce:
Grazie e buona strada,
Marta


