Il segreto della felicità dei Boscimani
Un altro insegnamento dalle esplorazioni di Carla Perrotti, questa volta nel deserto del Kalahari.
Forse vi siete accorti (o forse no) che settimana scorsa ho saltato il mio appuntamento con questa newsletter. Ho avuto un po’ di problemi sul piano tecnico, seguiti da una serie di problemi di salute (niente di serio) così ho preferito prendermi una settimana di pausa piuttosto che scrivere per forza – e male.
Nell’edizione precedente, che trovate a questo link, vi ho raccontato di Carla Perrotti e delle sue esplorazioni desertiche. Questa volta vorrei concentrarmi su un aspetto in particolare, ossia come il popolo dei Boscimani interpreta il concetto di felicità e, per farlo, userò le parole di Kansi, la guida di Carla:
Le ultime ore passano in un lampo. Ci ritroviamo per l’ultima volta riuniti intorno al fuoco a mangiare frittata di uova di struzzo; sono triste per la partenza e si vede. Kansi mi si avvicina e mi sgrida: «Cosa succede? Allora non hai imparato niente dai Boscimani! Ricordati che la vita è gioia, qualsiasi cosa succeda durante la nostra esistenza fa parte del percorso da seguire. Non devi lasciarti sopraffare dagli eventi negativi ma affrontarli e se non puoi fare nulla, allora accettali: appartengono alla tua storia.» Poi continua: «Non devi soffrire per il distacco; pensa che non ci sarebbe stato se non avessi incontrato questa gente; preferiresti non aver mai vissuto questa esperienza?» Conclude dicendo: «Ricordati che solo chi fa del male soffre veramente: anche se non ti sembra vero quello che dico, nel corso della tua esistenza avrai modo di ricrederti. Se cammini sempre dalla parte giusta della strada, se segui quello che ti dice il cuore non puoi sbagliare. Ogni tanto succede che la strada si divida, allora devi scegliere una direzione; quando lo fai, domandati se la tua scelta fa soffrire qualcuno, ricordati che essere felici non vuol dire vivere per soddisfare se stessi, ma essere in armonia con gli altri. Solo se rispetti te stessa e chi ti sta vicino, sei in pace con la tua coscienza, e la tua vita diventa gioia.»
Difficile trovare qualcosa di sufficientemente saggio da aggiungere. L’unica cosa che mi sento di dire è che questo stesso approccio l’ho trovato in altre culture, ben lontane da quella boscimane, e questo mi fa sperare che sia l’approccio giusto per arrivare a quella che io preferisco chiamare serenità – che, a mio parere, il termine «felicità» nella nostra cultura occidentale è ormai abusato e stravolto al punto da essersi svuotato del suo significato originario.
(Foto presa da internet)
C’è un altro aspetto della cultura boscimane che vorrei condividere con voi, di nuovo sfruttando le parole di Carla:
Ho osservato che il capo e la moglie sono gli unici anziani del gruppo, e chiedo spiegazioni: «La vita dei boscimani si svolge per la maggior parte del tempo in viaggio. Non hanno luoghi fissi in cu risiedere e si spostano trasportando con sé le loro poche cose in reti vegetali. Quando diventano vecchi, fanno fatica a seguire il gruppo e la loro presenza diventa un peso per l’intera comunità; allora viene costruita una capanna e l’anziano vi si ritira con acqua e cibo. Non ci crederai, ma quando dopo due giorni i compagni ritornano sul posto, lo trovano quasi sempre già morto.» Gli domando: «Come è possibile che un uomo non malato e con tutto il necessario muoia così rapidamente?» «Non possono stare da soli e senza l’aiuto del gruppo. Allora hanno sviluppato questa incredibile facoltà: si auto inducono la morte. In questo modo abbreviano le loro sofferenze e anche quelle dei compagni.» Poi aggiunge: «Ti può sembrare crudele, ma per un boscimane la vita è un bene che va consumato con gioia; se questa viene a mancare vuol dire che anche il resto deve finire.» Non avrei mai creduto che la mente umana fosse capace di tanto; penao a lungo alle sue parole e il pensiero va alla tristezza dei tanti anziani che nei nostri paesi, ritenuti civili, trascinano le loro esistenze spesso ai limiti della sopportazione e private di ogni dignità, in squallidi ricoveri.
Anche in questo caso il racconto di Carla riesce a toccare un tema molto importante e profondo, senza giudizio ma con obiettività e apertura al diverso, all’altro. E forse è questo l’aspetto che mi ha fatto amare il suo libro «Deserti» più di ogni altra cosa.
Nella nostra ultima conversazione telefonica, Carla mi ha parlato un pochino dei Boscimani e mi ha detto che sono un popolo mite, non abituato a combattere. Ed è per questo che sono a rischio di estinzione. Infatti, il governo ha tolto loro la possibilità di cacciare e spostarsi liberamente e li ha confinati in fazzoletti di terra recintati con 4 mucche e 4 permessi all’anno di caccia. Questo è risultato in un problema di alcolismo non indifferente, che non fa altro che indebolire questo popolo gentile e del tutto innocuo. In parte, questa fine ricorda quella degli Aborigeni australiani, degli Indiani d’america e di altri popoli schiacciati da un invasore più feroce e potente.
A questo proposito, e durante le mie ricerche per questi articoli, ho scoperto l’esistenza dell’Associazione Survival, che nasce da un articolo pubblicato nel 1969 sul settimanale britannico Sunday Times sullo sterminio dei popoli indigeni nel Brasile dal titolo «Genocide», firmato dal grande giornalista Norman Lewis e accompagnato dalle immagini del celebre fotografo Don McCullin. L’articolo scatenò una vera e propria ondata di indignazione da cui, pochi mesi dopo, nacque Survival International.
A questo link avete la possibilità di sostenere l’associazione acquistando il calendario per il 2024: un regalo alternativo che, al contempo, sostiene una causa importante e visto che tra poco è Natale mi sembra una buona idea.
Mentre a questo link potete acquistare il libro di Carla Perrotti «Deserti» e, al contempo, sostenere il mio lavoro.
Grazie di aver letto fin qui e buona strada!